lunedì 24 dicembre 2018

L'icona del Natale



LA NATIVITÀ DI CRISTO

“Quando giunse la pienezza dei tempo, Dio inviò il figlio suo, nato da donna, affinché riscattasse coloro che erano sottoposti alla legge, affinché ricevessimo l'adozione a figli”. Con queste parole dell'apostolo Paolo nella sua lettera ai Galati (4 5) inizia la lettura apostolica, che si ascolta nelle chiese durante la divina Liturgia del Natale. Il Messia, il Figlio e Verbo di Dio, che Dio aveva promesso d'inviare agli uomini e che i profeti d'Israele avevano preconizzato “divenne carne e si attendò in noi”. Si rivestì, cioè di carne umana, per avere un rapporto con gli uomini, per insegnar loro il volere di Dio e per salvarli con la propria morte in croce. 
    Questa “nascita secondo la carne del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo” è festeggiata dalla nostra Chiesa con la ricorrenza del Natale (25 Dicembre). L'icona della natività del Signore si basa sulla testimonianza della Sacra Scrittura e sulla tradizione della Chiesa, come la riassume il kondàkion della festa: “La vergine oggi genera il transustanziale, e la terra porge la grotta all'inaccessibile. Angeli con pastori rendono gloria. I Magi si mettono in cammino con la cometa. Per noi è infatti nato il nuovo Bambino, Dio prima di tutti i secoli”.
   Come enuncia il kondàkion nel suo ultimo verso, il bambino che fu generato era “Dio prima di tutti i secoli", che si è fatto uomo. Poiché secondo l’espressione lapidaria di un tropario dell'esperinòs della festa, "ciò che (Cristo) era, rimase, essendo Dio vero, e ciò che non era, lo prese su di sé, divenendo uomo per amore degli uomini (Stichiròn I).
    Il pittore ortodosso dell'icona della Natività, fedele conte sempre ai dogmi e alle tradizioni della Chiesa sistema i personaggi e gli oggetti nella raffigurazione in modo da ottemperare a due scopi: da un lato, mostrare la doppia natura umana e divina del Signore; dall'altro, alludere alla glorificazione del cielo e della terra (di solito la composizione è coronata da un arco celeste con l’epigramma “Gloria a Dio nell'alto del cieli e pace fra gli uomini). 
    La glorificazione del cosmo celeste, e la gratitudine del mondo terreno per questo evento sono diffuse per tutta l'immagine. “Le icone di questo gruppo si distinguono per la loro alta qualità, la ricchezza nella conformazione del luogo e la varietà dei tipi umani, che sono raffigurati tutti con gioia nobile e composta, addirittura pittoresca: cambi di piani che si incrociano, graziosi alberelli e animali) conferiscono un carattere idillico e poetico alla scena (M Chatzidàkis).

Descrizione dell’Icona.

a) Il Bambino e sua Madre. In ossequio a quanto racconta l’Evangelista Luca, la Panagìa, quando si trovò insieme a Giuseppe a Betlemme per il censimento, “partorì il proprio figlio primogenito e lo fasciò e lo mise a giacere nella mangiatoia, poiché essi non avevano un posto nell’alloggio (nell'ostello)”. La mangiatoia è rappresentata nella nostra icona all'interno di una spelonca buia. Della Nascita dei Signore nella spelonca ci informano antichi autori ecclesiastici (Giustino, Origene e altri). L'iconografo raffigura la spelonca buia per simboleggiare con il colore nero il mondo, che giaceva nella tenebra del peccato, sul quale adesso è venuta a splendere la luce di Cristo. Nella mangiatoia è reclinato il divino Pargolo fasciato, con il raggio della luce di un astro che cade su di lui. Come osserva Uspenski, “Spelonca, mangiatoia, fasce sono prova dello svuotamento (kénosis) della divinità, della sua condiscendenza, dell'estrema umiltà di Lui, il quale, invisibile nella Sua natura divina diventa visibile nella carne in grazia dell’uomo, prefigurando così la Sua morte, e la sepoltura, il sepolcro e il sudario”. 
   Dentro la spelonca, dietro la mangiatoia, sono effigiati un bue e un asino. L'iconografo si ispira alla profezia di Isaia che, parlando per conto di Dio, dice: “Un bue conobbe il suo acquirente e un asinello la mangiatoia del suo Signore; ma Israele non mi conobbe e il mio popolo non comprese” (Isaia, 1,3).
   L’icona, nel porre gli animali al centro, ci chiama a rifuggire dall'errore degli Ebrei. Il Signore ci ha amati: ci è d'obbligo onorarLo con il nostro amore. Per noi egli è nato; è il nostro Signore e Dio e Salvatore. 
    Oltre alle figure angeliche e umane la nostra icone presenta rappresentanti del regno vegetale e animale: tutto e tutti devono mostrare il loro rendimento di grazie. Un tropario del grande vespro (Mégas Esperinòs) di Natile risponde al quesito "che cosa offriremo a Cristo?”: “che cosa dovremmo offrirti, o Cristo, dacché ti sei mostrato sulla terra come uomo per noi? Ecco, ciascuna delle creature nate da te, ti porta il suo rendimento di grazie; gli angeli l'inno; i cieli la cometa; i Magi i doni; i pastori la meraviglia; la terra la spelonca; il deserto la mangiatoia; noi la Vergine Madre Dio prima del secoli, abbi pietà di noi” (Stichiròn - Idiòmelon).
    Noi peccatori offriamo come dono al Signore appena nato la Vergine la quale, come pure, è evidente nell'icona dell'Annunciazione, ha dato il suo assenso al concepimento del Salvatore. Con la nostra offerta di lei come dono a Cristo noi accettiamo con il nostro assenso di essere salvati dal Signore che è generato.
    La Madre di Dio è la figura della pittura che si distingue per la sua grandezza e per la posizione centrale che detiene nell'icona. La osserviamo fuori dalla spelonca, sul piano, in ginocchio con le mani incrociate per inchinarsi al Neonato. Come è stato osservato, “quest'elemento, di provenienza occidentale, accentua il senso di glorificazione dell'insieme, perché all'adorazione del Cristo prende parte, adesso anche la Theotòkos” (M. Chatzidàkis).
    In altre icone la Madre di Dio è distesa, con una manifesta stanchezza nel volto, e in altre, col tronco sollevato. La posizione della Vergine è sempre molto importante e legata ai problemi dogmatici dell'epoca e dello stile in cui l'icona è stata composta. Le differenze con le quali viene rappresentata ogni volta lasciano intravedere il proposito di esaltare talvolta la divinità, altre volte l'umanità del Signore. 
    Così in determinante rappresentazioni della Natività la Vergine è, per metà distesa, per metà seduta; la sua posizione è cioè risollevata per dimostrare l'assenza di dolori e di conseguenza il parto virginale e la provenienza divina del fanciullo (contrariamente all'errore dei Nestoniani). Ma nella maggioranza delle raffigurazioni la Vergine è distesa ed esprime con la sua posizione una grande fatica e spossatezza" (L. Uspensky).
    I tropari della nostra santa Chiesa e i suoi testi dogmatici ci guardano dall'insegnamento eretico di Nestorio il quale professò che la Tutta Santa avesse generato Cristo come essere umano e non come Figlio e Verbo di Dio. Dice Giovanni Damasceno che la nascita del Theànthropos, dell'Uomo Dio, fu nel contempo "Attraverso noi, per noi, in favore, di noi", cioè salvifica, fisica e metafisica. E per giunta, indolore, "Al di là della legge della gravidanza" (Dich. Fed. Ort., 3, 7) 
b) Gli altri particolari della raffigurazione. Fra le altre figure della rappresentazione gli angeli, i pastori e i Magi vengono ritratti nella parte superiore dell'icona, e nella parte inferiore, Giuseppe con il pastore e il fonte con le levatrici. Un angelo, conformemente alla narrazione evangelica, dà ad alta voce l'annuncio della redenzione avvisando i pastori dell'evento della Natività e altri guardando la cometa, rendono gloria a "Dio nell'alto dei cieli (en ipsìstis Theòs). Aggraziate le forme dei due pastori dell'uno che, estatico, accoglie il messaggio angelico e dell'altro che, seduto, suona il suo flauto. 
    Nella parte destra al di sopra della spelonca sono raffigurati i tre Magi a cavallo (in alcune icone sono raffigurati a piedi). Viaggiano insieme alla cometa che li guida e portano i loro regali al Signore che è stato generato. Essi rappresentano secondo i tropari della festa, gli idolatri che comporranno la Chiesa nata dai gentili. I pastori rappresentano l’altro ambito, quello giudaico. I Magi sono raffigurati di differenti età: uno giovane, uno maturo, uno vecchio. Così si sottolinea la verità secondo cui Cristo che è "la luce vera (tò fôs tò alithinòn), illumina tutti gli uomini a prescindere dalla loro età e dal posto che essi ricoprono nella società. 
    Nella parte inferiore dell'icona, a sinistra è raffigurato Giuseppe. È pensieroso e appoggia il suo capo alla mano sinistra. "Contemplò (la Tutta Santa) gravida e cadde nella più grande agitazione" (Proclo di Costantinopoli). Accanto a lui osserviamo un pastore, appoggiato al suo bastone. L'Uspenskij vede nel viso di quest'ultimo Satana che insinua nell'anima del giusto Giuseppe il dubbio e pone nella sua mente dei pensieri, riferiti dai Vangeli apocrifi e dai tropari della festa.
    A proposito di ciò scrive “L'icona nel volto di Giuseppe evidenza non solo il suo dramma personale ma anche il dramma di tutto il genere umano, la difficoltà ad accettare quello che è “al di là di ragione e intelletto”, ossia il farsi uomo da parte di Dio”. 
    Nel doxastikòn dell'Ora Prima dell'Akoluthìa di Natale sentiamo Giuseppe chiedere alla Theotòkos: "Maria, che cos'è questo dramma che in te osservo? Invece di onore, vergogna; al posto della felicità, il dolore, anziché farmi lodare, mi hai recato biasimo. Non sopporto più il rimprovero degli uomini".
   Degna di osservazione è anche la posizione di Giuseppe nell'icona. È dipinto in un'estremità, lontano dal bambino e da sua Madre. E questo perché non è il padre del Neonato bensì il protettore della Sacra Famiglia.
    Di fronte a Giuseppe, nell'altra estremità inferiore dell'icona sono rappresentate due donne che preparano il lavacro del Bambino divino. L'una regge il fanciullo e saggia con la mano la temperatura dell'acqua, che l'altra versa nel fonte. La scena è ispirata ai Vangeli apocrifi di Matteo e, Giacomo, che parlano di due donne, la levatrice e Salome, che Giuseppe aveva portato a recare aiuto alla Thetòkos. 
    Chiudiamo dunque la descrizione e l'analisi dell'icona della Natività di Cristo col seguente tropario dell'akoluthìa del mattutino della festa di Natale. Esso presenta con la sua parola poetica il miracolo dell'incarnazione del Cristo ed esprime la giusta meraviglia dei fedeli: «L'indivisibile dal tutto, come si è diviso in un grembo? Colui che era nel seno del Padre, come è venuto nell'abbraccio della madre? Come egli assolutamente sa, ha voluto e si è compiaciuto di fare.
    Pur essendo infatti incorporeo, si è volontariamente incarnato. Ed è divenuto colui che era ciò che non era per noi. E fu non uscendo fuori dalla Sua natura che egli partecipò della nostra corporietà. Si generò doppiamente Cristo, volendo riempire il cosmo di lassù".

Tratto da CH.G. Gòtzis, Il mondo mistico delle iconi bizantine, Diaconia Apostolica, Atene 1995. Traduzione del Prof Maurizio Farina. 

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