venerdì 28 gennaio 2022

La festa del 2 Febbraio nella Tradizione bizantina

 La festa del 2 febbraio nella tradizione bizantina



Adorna il tuo talamo, Sion, per accogliere Cristo.

di S. Ecc.za Mons. Manuel NIN, OSB, Esarca Apostolico in Grecia

La tradizione bizantina, ed anche le altre liturgie cristiane, celebra come una grande festa il quarantesimo giorno dopo la nascita di Cristo, cioè la sua presentazione al tempio, a partire dalla lettura della pericope evangelica di Lc 2, 22-40. Già la peregrina Egeria, nella seconda metà del IV secolo, ci parla di questa celebrazione a Gerusalemme, presso la basilica dell’Anastasi (Risurrezione), e paragonandola quasi alla festa di Pasqua ci dice che: “valde cum summo honore hic celebrantur… cum summa laetitia ac si per Pascha…”. Nel V-VI secc. la festa si celebra già ad Alessandria, ad Antiochia e a Costantinopoli e, alla fine del VII secolo viene introdotta a Roma da papa Sergio I (687-701). In tutte le liturgie cristiane, oltre a celebrare il fatto evangelico narrato a Lc 2, la festa del 2 febbraio ha un senso fortemente pasquale, e ne è un annunzio evidente.

Nella tradizione bizantina la festa del 2 febbraio porta come titolo “Ypapantì” che possiamo tradurre come “Incontro”, in quanto i testi liturgici sottolineano fortemente, a partire dalla narrazione evangelica, l’incontro tra la vecchia umanità rappresentata da Simeone ed Anna, e la umanità nuova, rinnovata e redenta presente nel Dio che si è fatto Bambino neonato ed oggi è presentato al tempio del Signore. Un incontro che diventa preannuncio, profezia di quell’altro definitivo incontro tra la vecchia e la nuova umanità, tra il vecchio Adamo ed il nuovo Adamo, incontro che avverrà il Sabato Santo quando Cristo, scendendo nell’Ade prenderà per mano Adamo ed Eva e li riporterà nel paradiso. Allo stesso modo che oggi il Bambino di quaranta giorni incontra ed è preso nelle braccia di Simeone, lì Cristo stesso incontrerà e prenderà per mano Adamo ed Eva.

I tropari della festa del 2 febbraio nella tradizione bizantina sono opera dei grandi innografi bizantini: Romano il Melodo (+556), Andrea di Creta (+740) e Cosma di Maiouma (+794). Del primo innografo, Romano il Melodo, abbiamo un kontakion intero di 18 strofe, di cui uno dei tropari è stato integrato nei testi della festa e durante la sua ottava: “Tu che con la tua nascita hai santificato il grembo verginale, e hai benedetto le mani di Simeone, come conveniva, ci hai prevenuti anche ora con la tua salvezza, o Cristo Dio. Dà dunque pace alla città tra le guerre e rafforza i re che hai amato, o solo amico degli uomini”. Il tropario mette in evidenza come la nascita di Cristo e la sua presentazione al tempio sono fonte di santificazione di quelle realtà umane che ne sono il mezzo, cioè il grembo verginale di Maria e le mani di Simeone, e per l’umanità intera sono anche fonte di salvezza. Da questa salvezza ne scaturisce il dono della pace.

Mi soffermo in modo speciale su qualche tropario della festa. Di Andrea di Creta ne abbiamo diversi, ed accenno soltanto a due di essi: “Colui che è portato dai cherubini e celebrato dai serafini, presentato oggi nel sacro tempio secondo la Legge, ha per trono le braccia di un vegliardo; per mano di Giuseppe riceve doni degni di Dio… Simeone, accogliendo il compimento dell’oracolo che aveva ricevuto, benedice la Vergine Madre di Dio Maria, simbolicamente predicendole la passione di colui che da lei era nato…”. Si tratta di un testo in cui l’autore mette in luce una cristologia fortemente calcedoniana, sottolineando la vera divinità e la vera umanità di Cristo, Verbo di Dio incarnato. Sono delle immagini poetiche volutamente contrastanti che il teologo poeta adopera per celebrare il mistero centrale della nostra fede, cioè l’incarnazione. Fortemente toccante l’immagine delle braccia del vegliardo che diventano trono della gloria di Dio. In un altro dei tropari della festa, lo stesso Andrea di Creta, a partire dall’esortazione di Cristo nel vangelo di Giovanni su cosa significa il leggere e lo scrutare le Scritture, la propone indirizzata a tutta la Chiesa che deve leggere le Scritture sempre come preannuncio e presenza già del mistero dell’incarnazione: “Scrutate le Scritture, come disse nei vangeli il Cristo Dio nostro: in esse, infatti, noi lo troviamo partorito e avvolto in fasce, allevato e allattato, circonciso e portato da Simeone, non in apparenza né come in una visione, ma in verità apparso al mondo…”. Nelle Scritture troviamo annunciato, presente in modo reale e non in apparenza il mistero avveratosi in Cristo.

Un altro dei tropari della festa è di Cosma di Maiouma. Si tratta di un testo che poi è entrato nella liturgia romana fino ai nostri giorni nella festa del 2 febbraio nel canto: “Adorna, thalamum tuum, Sion…”. Si tratta, come spesso capita nei testi delle liturgie orientali, di un intreccio di citazioni bibliche implicite ed o esplicite, prese spesso dai salmi. È un tropario che parla di Maria, la Madre di Dio, con dei titoli presi dai testi veterotestamentari, e ad essa attribuiti in tutte le tradizioni cristiane di Oriente e di Occidente, come porta, trono, nube…: “Adorna il tuo talamo, o Sion, e accogli il Re Cristo; abbraccia Maria, la celeste porta, perché essa è divenuta trono di cherubini, essa porta il Re della gloria; è nube di luce la Vergine perché reca in sé, nella carne, il Figlio che è prima della stella del mattino. Simeone lo prende tra le braccia e annuncia ai popoli che egli è Signore della vita e della morte, il Salvatore del mondo”.

Altri dei tropari, infine, si trattengono a lungo nel mettere in evidenza, da un punto di vista cristologico, il contrasto o quasi la tensione, tra Colui che ha dato la legge e Colui che ne ubbidisce il comando; l’uno e l’altro si manifestano in modo pieno in Colui che per noi si è fatto uomo: “Accogli, Simeone, colui che Mosè vide in precedenza, nella caligine, quando gli dava la Legge sul Sinai, e che ora, divenuto bambino, si assoggetta alla Legge. Questi è colui che ha parlato mediante la Legge; questi è colui di cui è detto nei profeti, colui che si è incarnato per noi e ha salvato l’uomo… L’Antico di giorni, divenuto bambino nella carne, è portato al santuario dalla Madre Vergine per compiere quanto era dichiarato dalla propria Legge… La Madre ignara di nozze, portando al tempio colui che prima dei secoli dal Padre è rifulso, e alla fine dei tempi, da grembo verginale, presentava colui che sul monte Sinai aveva dato la Legge, e ora ubbidiva al comando della Legge, al giusto e anziano sacerdote, al quale era stato vaticinato che avrebbe visto il Cristo Signore”.

La festa del 2 febbraio ci fa pregustare già la Pasqua. L’incontro odierno tra l’anziano Simeone ed il Bambino neonato, tra l’umanità invecchiata e quella rinnovata e ricreata in Cristo, è prefigurazione di quell’incontro definitivo tra il vecchio ed il nuovo Adamo, tra il redentore ed il redento. “…cum summa laetitia ac si per Pascha…”, riprendendo Egeria.


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