DESCRIZIONE DELL’ICONA
L’icona riproduce fedelmente il momento dell’incontro tra Gesù e la donna Samaritana presso il pozzo di Giacobbe. Al centro dell’icona c’è il pozzo con Gesù seduto a sinistra e la Samaritana in piedi a destra con la brocca dell’acqua poggiata vicino al pozzo, mentre nella mano sinistra tiene la cordicella legata alla brocca. In genere dietro il pozzo emerge un albero dal tronco mozzato con un nuovo ramo che si divide in tre. La scena è dominata da un monte con due cuspidi che si erge come un muro divisorio tra i discepoli dal lato di Gesù e la città coi Samaritani dall’altro lato. La montagna lascia appena intravedere una caverna aperta dal lato dei discepoli di Gesù.
Commento all’icona
Il pozzo
L’incontro tra Gesù e la Samaritana avviene presso il pozzo detto di Giacobbe; era verso mezzogiorno. Il pozzo nel mondo della Bibbia, soprattutto nel periodo più antico, è un luogo importante. Il pozzo significa sorgente di vita e diventa pertanto un punto focale che rende possibile l’esistenza della società umana. Intorno a questi luoghi-chiave, tutta una vita può nascere e svilupparsi. Proprio per l’importanza che questi luoghi avevano per la vita della società antica, intorno ai pozzi s’intrecciano storie di ogni genere. Ma quelle più belle e anche più interessanti anche al fine della comprensione del testo del vangelo che stiamo analizzando, sono certamente le storie di amore. Analizzeremo tre testi che ci aiuteranno meglio nella comprensione dell’episodio dell’incontro di Gesù con la Samaritana al pozzo.
Il primo racconto (Gen 24) ruota attorno al tentativo di Abramo di procurare una sposa al proprio figlio Isacco. A tale proposito, il patriarca invia il suo vecchio servo nella propria terra natale, lontano da Canaan. Il servo si ferma presso un pozzo e prega così: “Signore, Dio del mio padrone Abramo, concedimi un felice incontro quest’oggi e usa benevolenza verso il mio padrone Abramo! Ecco, io sto presso la fonte dell’acqua, mentre le fanciulle della città escono per attingere acqua. Ebbene, la ragazza alla quale dirò: Abbassa l’anfora e lasciami bere, e che risponderà: Bevi, anche ai tuoi cammelli darò da bere, sia quella che tu hai destinata al tuo servo Isacco; da questo riconoscerò che tu hai usato benevolenza al mio padrone” (Gen 24, 12-14). Poco dopo una ragazza di nome Rebecca arriva al pozzo con la brocca per attingere l’acqua. Il servo domanda da bere e le cose avvengono così come sono state descritte nella sua preghiera. La ragazza lo invita a passare la notte nella sua famiglia ed egli scopre con stupore che sono i parenti di Abramo. Dopo un lungo scambio di parole, Rebecca accetta di partire con il vecchio per ricevere Isacco come sposo. In questo racconto vi sono dei dettagli che evocano il vangelo di Giovanni. Dopo il suo incontro con l’uomo al pozzo, la giovinetta corse ad annunziare alla casa di sua madre tutte queste cose (Gen 24,28; cfr. Gv 4,28) e disse: così mi ha parlato quell’uomo (Gen 24,30; cfr Gv 4,29). Non si deve immaginare che questi confronti siano una semplice coincidenza. I cristiani della prima generazione erano per la maggior parte ebrei che conoscevano in modo eccellente le Scritture del loro popolo. Dunque non si tratta di coincidenze ma di richiami volontari.
Il secondo racconto che ci accingiamo ad analizzare è quello citato in Gen 29,1-14 che vede come protagonista Giacobbe, figlio di Isacco. Lontano dal suo paese e dalla sua casa, si ferma vicino a un pozzo coperto da una grande pietra. Alcuni pastori stanno aspettando che tutti siano presenti prima di spostare la pietra che ostruisce l’apertura del pozzo. Proprio in quel momento arriva in quel luogo una ragazza con il proprio gregge. È Rachele, la cugina di Giacobbe. Immediatamente Giacobbe toglie la pietra dal pozzo e abbevera il bestiame di suo zio Labano. Egli entra in casa di suo zio e vi si trattiene. Volendo sposare Rachele, trascorre quattordici anni presso lo zio. In tutto, rimarrà in questa regione per una ventina d’anni. Proprio come il suo discendente Gesù, Giacobbe offre dell’acqua ad una donna sconosciuta. Gli ebrei spiegano nei loro commentari biblici, che quando Giacobbe toglie la pietra dal pozzo, l’acqua comincia a sgorgare e diventa una grande fontana, tant’è che da quel momento in avanti ci sarà acqua in abbondanza per tutti. Tale versione del racconto spiega peraltro il comportamento di Labano che cerca di trattenere Giacobbe in quel paese il più possibile: ha paura che dopo la sua partenza, l’acqua venga a mancare di nuovo, e che si debba di nuovo penare per dare da bere a uomini e bestiame.
Dunque, alla luce di questa rilettura, la replica della Samaritana, quando Gesù le promette dell’acqua viva, si riveste di un nuovo significato: Sei forse più grande del nostro padre Giacobbe…? (Gv 4,12). In altri termini: “Stai per fare un miracolo come lui, o addirittura qualcosa di ancora più grande?
Il terzo racconto di questa tradizione riguarda Mosè (Es 2,15-22). Costretto a fuggire dall’Egitto dopo il suo tentativo fallito di ristabilire la giustizia, si sta riposando ai bordi di un pozzo. Delle ragazze, qui sette sorelle, arrivano per abbeverare le loro greggi, e vengono intimiditi da alcuni pastori. Mosè viene in loro soccorso e poi da’ dell’acqua al bestiame. Il loro padre lo invita a rimanere a casa loro; non ci sorprenderà sapere che Mosè finisce per sposare una di loro. Anche qui, quando gli ebrei raccontavano questa storia aggiungevano degli elementi supplemen-tari. In una versione, facendo sgorgare l’acqua dal pozzo, Mosè compie un miracolo analogo a quello di Giacobbe; in tal modo, il suo futuro suocero sa che egli è un discendente di Giacobbe. E lo storico ebreo Giuseppe Flavio narra l’inizio del racconto nel seguente modo: “Giun-gendo nella città di Madian, Mosè … era seduto presso un pozzo a causa della fatica del giorno: era mezzogiorno, non lontano dalla città”. Si tratta di dettagli che troveremo più tardi nel Vangelo di S. Giovanni (Gv 4, 5-6). Così il suo incontro con la Samaritana colloca Gesù nella linea diretta dei patriarchi e di Mosè: come vedremo, di fatto, egli realizza ciò che essi prefigurano in modo materiale. Concludendo possiamo dire che il pozzo nel mondo biblico antico possiede una densità di significati che ne fa un luogo privilegiato per capire i rapporti tra Dio e gli esseri umani. Infatti esso è sorgente di vita; luogo di ritrovo, di conflitto e di riconciliazione; luogo di incontro, soprattutto tra un uomo e una donna in vista di un matrimonio; simbolo di un Dio che si prende cura del proprio popolo.
L’albero: L’icona mostra un albero che fuoriesce proprio da dietro il pozzo. Cosa sta a simboleggiare? Guardandolo bene si nota che è un albero che ha sofferto diverse lacerazioni. Era diventato un tronco da cui poi è uscito un nuovo ramo che si divide in tre parti. L’albero raffigura la storia tormentata del regno d’Israele. Un regno unito per poco tempo, poi a causa dei peccati d’infedeltà, viene “tagliato”, reciso, ma mai ucciso. Questo albero sintetizza in se diversi significati biblici.
È innanzitutto la raffigurazione della profezia di Isaia: “Un virgulto spunterà dal tronco di Jesse”, una profezia messianica che si realizza pienamente in Gesù, il Messia atteso. Questa verità la troviamo proprio nel dialogo tra Gesù e la Samaritana: “So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa”. Le disse Gesù: “Sono io, che ti parlo”.
L’albero che si dirama in tre rami è un chiaro riferimento alla Trinità. I tre rami verdi sono il simbolo delle tre Persone. Il ramo che si trova accanto a Gesù si biforca per esprimere il mistero dell’incarnazione. Diventando uomo, l’unica persona di Gesù unisce, senza confusione, due nature: quella umana e quella divina. La missione di Gesù di donare l’acqua viva è allora la missione di tutta la Trinità. Infatti nel dialogo con la Samaritana, Gesù parla del Padre e dello Spirito Santo come “acqua viva”. Colpisce il dito della mano sinistra di Gesù che indica il pozzo. Quel dito, sottile e allungato, somiglia e rimanda a quello dell’angelo che nell’icona della SS. Trinità raffigura lo Spirito Santo: Il “dito di Dio”. L’acqua viva che Gesù promette è lo Spirito Santo, l’altro “Consolatore” che procede dal Padre, che non dirà cose diverse, ma “prenderà del mio (da Gesù) e ve lo annunzierà”.
L’albero inoltre ricorda l’albero della vita del paradiso i cui frutti sfamavano la fame di vita eterna di Adamo ed Eva. Gesù promettendo l’acqua viva diventa lui stesso l’albero della vita e allo stesso tempo il frutto di vita eterna: “l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”.
L’albero, infine, richiama la croce. Sulla croce, per adempiere le Scritture Gesù disse: Ho sete. Ritorna la richiesta fatta al pozzo alla Samaritana. È la sete di Gesù di donare “l’acqua viva” che l’evangelista Giovanni vede realizzarsi in questi due segni: nell’ultimo respiro di Gesù, preludio all’effusione dello Spirito Santo, e dal suo cuore squarciato dalla lancia del soldato romano, da cui fuoriescono sangue e acqua subito dopo la morte.
I Samaritani
Doveva perciò attraversare la Samaria. La decisione di Gesù di passare per la Samaria ha un significato profondo, che fa parte della missione che egli ha ricevuto dal Padre. Al tempo di Gesù tra Ebrei e Samaritani non correva buon sangue. Gli ebrei consideravano i Samaritani come dei “fratelli impuri” in quanto la loro razza si era formata dopo che il Regno del Nord era caduto in mano all’impero Assiro. I fatti si erano evoluti in questa maniera. Come regno Israele durò solo pochissimo tempo, durante il regno del re Davide e di suo figlio Salomone. Alla morte di Salomone, soltanto due tribù rimasero fedeli alla casa di Davide e divennero il regno del Sud, detto di “Giuda”. Le altre tribù scelsero altri re e formarono il regno del Nord, con la città di Samaria come capitale. Due secoli dopo questa spartizione il regno del Nord fu invaso e distrutto dagli assiri, una parte del popolo fu deportata e altre popolazioni si insediarono in questa terra. I samaritani sono così i discendenti degli antichi sudditi del regno del Nord. Essi avevano fede nel Dio di Israele e accettavano i libri di Mosè, i primi cinque libri della Bibbia, ma non i libri profetici scritti dopo lo scisma. Non si recavano a Gerusalemme per adorare Dio, ma frequen-tavano il loro santuario sul monte Garizim. Ma il popolo ebraico conser-vava sempre la nostalgia dell’unità perduta e la speranza di una riunificazione. Secondo i profeti, quando Dio fosse venuto per salvare i suoi, uno dei segni importanti sarebbe stata la restaurazione delle dodici tribù, con il Nord e il Sud riuniti di nuovo sotto un solo capo.
“I figli di Giuda e i figli d’Israele si riuniranno insieme, si daranno un unico capo e saliranno dal proprio territorio, perché grande sarà il giorno di Izreèl!” (Osea 2,2)
Di fronte a questo scenario, possiamo capire meglio il senso della venuta di Gesù in Samaria. Egli viene per compiere le promesse dei profeti, il disegno di Dio di riunificare il suo popolo. Dunque la presenza di Gesù in Samaria e il suo incontro con i samaritani diventano così un segno del fatto che Dio sta radunando il suo popolo nell’unità abolendo la separazione secolare tra il Nord e il Sud. Nell’icona il segno della separazione tra Ebrei e Samaritani è raffigurata dalla montagna che divide da una parte i discepoli di Gesù e dall’altra il villaggio dei Samaritani. È una montagna alta e ripida che esplicita tutta la difficoltà del dialogo tra questi due popoli. Ma questa montagna nasconde una grotta che si vede dalla parte dei discepoli. È la grotta che simboleggia la morte di Gesù e la sua discesa agli inferi. Le due cuspidi della montagna stanno a simboleggiare le due nature di Gesù che saranno finalmente evidenti proprio a partire dalla sua morte e risurrezione. Quando Gesù porterà a termine la sua missione allora i suoi discepoli capiranno che in Cristo Gesù tutti i muri di divisione devono essere abbattuti e, come dice il profeta: “Ogni colle sia abbassato”.
Dialogo tra Gesù e la Samaritana
Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Gesù è stanco: in lui, Dio assume tutta la condizione umana, la salvezza che egli offre passa attraverso una solidarietà con gli aspetti negativi della nostra esistenza. Il riferimento preciso all’ora dell’incontro lo ritroviamo nel vangelo di Giovanni nel racconto della passione: “verso mezzogiorno: Pilato disse ai giudei: “Ecco il vostro re!” (Gv19,14). Questo collegamento discreto all’ora della passione ci fa capire che nell’ora della croce Gesù compirà la sua missione nel dono totale di se come cibo di vita eterna, come acqua viva.
Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Al pozzo arriva per attingere acqua, una Samaritana. È una donna che molto probabilmente vive ai margini della comunità. È proprio l’ora della sua apparizione a essere una prima indicazione della sua condizione marginale. Infatti in un paese caldo come la Palestina il compito di attingere l’acqua veniva svolto al mattino presto oppure la sera, per approfittare della frescura del giorno. Venendo a mezzogiorno, ora in cui il sole cade a picco, la donna è quasi sicura di non incontrare nessuno. Questo lascia intendere che questa donna non sia in buone relazioni con i suoi cittadini, anzi, che sia addirittura una “peccatrice”. L’icona raffigura bene il dialogo che intercorre tra Gesù e la Samaritana. Dai gesti delle mani, dagli sguardi, dalla posizione dei corpi possiamo leggervi il dialogo. Entrando in relazione con la Samaritana Gesù si pone in una posizione di inferiorità. Le sue parole non sono un ordine ma una richiesta. Le va incontro con le mani vuote, in cerca di qualcosa che solo lei è in grado di dargli. Per quanto riguarda la ricerca dell’acqua, essa ha una brocca ed è, apparentemente, in una posizione di forza nei suoi confronti. Così, Gesù comincia abbassandosi, gesto che ha per conseguenza il fatto di rialzare la donna. In altre parole, Gesù le rivela la sua dignità umana: egli ha bisogno di lei, lei ha qualcosa da dargli. Facendo questo, Gesù mostra allo stesso tempo in che cosa consiste la vera dignità umana: nella capacità di dare e di darsi.
L’acqua viva
Gesù chiede alla Samaritana da bere, e alla risposta carica di perplessità della donna: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?” Gesù introduce subito il discorso dell’acqua viva. Gesù ha sete, ma di donare salvezza! “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. Quest’acqua che Gesù promette non è una acqua normale, materiale. In effetti quest’acqua ha la proprietà inaudita di dissetare definitiva-mente, di dare tutto ciò che è necessario alla vita. Ma che cosa è questa acqua viva che Gesù promette alla donna? Nello stesso vangelo di Giovanni ne troviamo la risposta: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno. Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c’era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato” (Gv 7,37-39). L’acqua viva è allora il dono dello Spirito Santo che scenderà su tutta l’umanità con la glorificazione di Gesù, quando egli porterà a compimento la sua missione terrena. Si capisce allora come solamente Giovanni nota nel suo vangelo il compiersi delle parole di Gesù quando, trafitto dalla lancia del soldato romano sulla croce, dal suo costato escono sangue ed acqua. Attraverso il dono della sua vita (il suo “sangue”), Gesù diventa per l’umanità una sorgente di acqua viva, comunica definitivamente la realtà del Dio vivente attraverso il dono senza misura del suo Spirito. “Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”. Si passa dall’acqua materiale a quella spirituale, dalla sete di Gesù alla sete della donna. Il dialogo conduce lentamente la donna a scoprire la sua sete. Ma a questo punto sorprende la richiesta di Gesù che sembra apparentemente non avere nessuna attinenza con la “sete” della donna: “Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui”. Non appena la Samaritana comincia a intraprendere la strada della sete spirituale, Gesù la rimanda alla sua vita quotidiana, alle sue relazioni con i suoi vicini, cominciando da colui che dovrebbe esserle più vicino tra tutti. Facendo questo, egli impedisce che la sua religione diventi una fuga, un modo di voltare le spalle a un mondo inospitale per trovare rifugio lontano dalla realtà. Rispose la donna: “Non ho marito”. Le disse Gesù: “Hai detto bene “non ho marito”; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero”. Gesù non la condanna rivelandole il disordine affettivo e morale della sua vita, ma vuole aiutare la donna a prendere consapevolezza che il dono dell’acqua viva passa attraverso il desiderio vivo e sincero di affidare a Dio tutte le proprie debolezze e lasciarsi guarire. L’acqua viva giunge a chi è “vero”, a chi è disposto a non nascondere le proprie miserie davanti a Dio. Il dono dell’acqua viva passa attraverso la nostra disponibilità, umile e sincera, a prendere consapevolezza delle nostre miserie e ad essere pronti al cambiamento. Questo cambiamento la Samaritana è disposto a farlo. Ne è prova il fatto che a un certo punto “lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?”. La Samaritana diventa annunciatrice della gioia che le è entrata nel cuore, dell’acqua viva che senza accorgersene ha inondato la terra arida della sua anima. Come i discepoli lasciarono le reti e lo seguirono, diventando pescatori di uomini, così la Samaritana lascia la brocca, cioè la sua sete materiale, e diventa portatrice di un’altra acqua, quella viva che Gesù le ha donato. Come nelle Nozze di Cana, Gesù è lo sposo venuto per celebrare le sue nozze con la Chiesa sua sposa. Gesù è dunque lo sposo venuto per invitare gli uomini a entrare in una comunione di vita con lui e, in tal modo, con il Padre. Accogliendo il Cristo e bevendo la sua acqua viva o il suo vino nuovo, noi partecipiamo già alle nozze dell’Agnello, alla gioia di un mondo riconciliato. Per la Samaritana che aveva avuto sei uomini, Gesù si presenta come il vero sposo, il settimo uomo ad entrare nella sua vita, per placare la sua ossessionante ricerca facendola passare ad un altro livello: in questo numero c’è l’immagine del sabato, il settimo giorno che apre la settimana a un compimento in Dio. Ed ecco che alla fine sono i samaritani a portare questa linea al suo punto culminante: Sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo. Gesù offre a tutti i popoli della terra l’acqua viva, che li rende veri adoratori del Padre in spirito e verità. Attraverso il Cristo una sorgente di riconciliazione veramente universale entra nella storia del nostro mondo. Anche se universale, questa sorgente è allo stesso tempo personale, poiché essa entra nel cuore di ciascun essere che si avvicina a Gesù in un atteggiamento di disponibilità.
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